Sono le 13.26 di venerdì 31 maggio 2013 quando un tweet del premier Enrico Letta annuncia che il “Cdm ha appena approvato il ddl di abrogazione del finanziamento pubblico partiti e passaggio a incentivazione fiscale contributi cittadini”. Uno dei punti principali dei programmi elettorali dei partiti è stato soddisfatto. Dopo aver presentato il tema vediamo, nel dettaglio, quali sono le misure introdotte dal Consiglio dei Ministri.
UNA BREVE INTRODUZIONE – Il finanziamento pubblico ai partiti, molto semplicemente, è una delle modalità possibili con cui i partiti politici ottengono i fondi necessari a finanziare le proprie attività.
– Il finanziamento pubblico esiste in diversi Paesi europei ed in Italia è stato introdotto nel 1974 con la Legge Piccoli (n. 195 del 2 maggio 1974). L’obiettivo di questa legge, almeno nella sua fase iniziale, era evitare che i partiti avessero bisogno di collusioni o corruzioni da parte dei grandi interessi economici.
– Dopo il referendum, indetto dai Radicali, dell’11 giugno del 1978 dove l’abrogazione viene accolta con favore solamente dal 43,6% nel 1981, con la legge n. 659 del 18 novembre, si sono apportate alcune modifiche quali, ad esempio, il raddoppio dei finanziamenti pubblici.
– Dopo lo scandalo di Tangentopoli, il secondo referendum indetto dai Radicali Italiani, nell’aprile del 1993, porta il 90,3% dei voti in favore dell’abrogazione.
– Il terzo ed ultimo referendum, sempre promosso dai Radicali, è datato 2000: in questa circostanza, però, non si raggiunge il quorum visto che vanno a votare solamente il 32,2% degli aventi diritto.
DAI RIMBORSI ELETTORALI, AL 2X1000 – Enrico Letta si è augurato che “il Parlamento approvi rapidamente” il ddl sul finanziamento ai partiti, “perché ne va della credibilità del sistema politico italiano”.
– Eh sì, perché il sofferto addio al finanziamento pubblico ai partiti potrebbe anche rischiare di rimanere una chimera visto che dovrà attraversare l’intero iter parlamentare e visto che sono molti i protagonisti politici ad aver manifestato la loro perplessità sul provvedimento e ad essersi dichiarati pronti ad ‘ammorbidirlo’ a colpi di emendamenti.
– Il ddl approvato il 31 maggio 2013 nel Cdm ha l’obiettivo di sostituire gli attuali rimborsi elettorali con un sistema a base di contributi privati volontari e donazioni del 2×1000 del reddito.
– Questa modifica, comunque, sarà decisamente graduale: non entrerà in vigore, a pieno regime, fino al 2016. Nel 2014, infatti, i partiti percepiranno ancora il 60% del finanziamento; questa percentuale calerà al 50% per il 2015 ed al 40% nel 2016. Dal 2017, in linea teorica, lo stop dovrebbe essere definitivo.
– Nonostante lo scetticismo di Nunzia De Girolamo, ministro delle Politiche Agricole, che ha così commentato “C’è una riserva su tutto. Sarà il Parlamento a decidere”, il suo collega per le Riforme, Gaetano Quagliariello si è espresso con entusiasmo: “Da un finanziamento pubblico fornito a prescindere” si arriverà “ad un finanziamento pubblico sottoposto a due condizioni: la volontà della scelta dei cittadini e il fatto che i partiti siano una struttura fondamentale della vita democratica, strumenti del funzionamento delle istituzioni”.
TUTTI I DETTAGLI: LE DONAZIONI INDIVIDUALI E LA RIDUZIONE GRADUALE – Per evitare che “rientri dalla finestra ciò che esce dalla porta”, il ministro Quagliariello ha voluto rassicurare tutti che ci sarà un tetto massimo, pari a 61 milioni di euro, di somme che i singoli partiti potranno ricevere.
– Un’altra caratteristica del ddl approvato nel Consiglio dei Ministri è che l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, come detto nel paragrafo precedente, non sarà netta, ma graduale. In particolare, prenderà avvio nel 2014, ma andrà a regime solo a partire dal 2016-2017.
– A giugno 2015, infatti, gli italiani saranno chiamati a compilare la dichiarazione dei redditi relativi al 2014. A partire da quel momento, l’Erario inizierà a stabilire l’ammontare esatto della quota del 2×1000 da destinare a ciascun partito.
– La gradualità avverrà come segue: taglio del 40% del finanziamento pubblico nel primo esercizio successivo a quello dell’entrata in vigore del disegno di legge. Taglio del 50% nel secondo esercizio successivo e del 60% nel terzo. Dal quarto, quindi, il finanziamento cessa.
– Ipotizzando che il disegno di legge entri in vigore nel 2013, la situazione è la seguente: taglio del 40% nel 2014, del 50% nel 2015, del 60% nel 2016 e stop definitivo al finanziamento pubblico ai partiti solamente nell’esercizio del 2017.
– A chi ha chiesto al premier il motivo di questa necessità di dilazionare l’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti, Enrico Letta ha così risposto: “Perché il 2xmille viene erogato non prima di due anni dalla firma nella dichiarazione dei redditi (capita anche per il 5 e l’8xmille)”.
– Al finanziamento privato con regime fiscale agevolato, inoltre, potranno essere ammessi solo quei partiti che abbiano conseguito, nell’ultima tornata elettorale, almeno un rappresentate eletto alla Camera dei Deputati o al Senato della Repubblica o in un’assemblea regionale o che abbiano presentato, nella stessa consultazione elettorale, candidati in almeno tre circoscrizioni per le elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati o in almeno tre del Senato della Repubblica o delle assemblee regionali, o in almeno una circoscrizione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia.
CAPITOLO DETRAZIONI: QUANTA CONFUSIONE – Oltre alla gradualità dell’entrata in vigore del provvedimento, un altro aspetto controverso è quello che riguarda le detrazioni delle erogazioni liberali.
– Le erogazioni liberali in denaro effettuate dalle persone fisiche avranno dall’imposta lorda una detrazione pari al 52% per importi compresi tra 50 e 5.000 euro e del 26% per importi tra i 5.001 ed i 20.000 euro.
– Dove stanno, su questo tema, le diatribe? Semplice: sul fatto che le erogazioni liberali verso la politica avranno un trattamento più favorevole rispetto a quelle fatte verso un’opera benefica. Nel primo caso, come detto poco sopra, si tratta di detrarre il 52% fino 5.000 euro ed il 26% fino a 20.000; nel secondo, invece, ci si limita al 26% fino ad un tetto di 2.065 euro.
– I conti sono presto fatti: dare 10.000 euro in beneficenza consente di detrarre 540 euro; darli ad un partito consentirà una detrazione di, ben, 3.900 euro.
NON SOLO DONAZIONI E 2X1000, ANCHE SERVIZI – Oltre alle donazioni individuali ed al 2×1000, la terza via di approvvigionamento riguarda l’offerta di servizi gratuiti o scontati per i partiti (tariffe telefoniche, carta, sale per convegni).
– Oltre a questo, il disegno di legge prevede anche delle nuove disposizioni in materia di comunicazione politica fuori dalla campagna elettorale: si tratta di un accesso a titolo gratuito agli spazi televisivi messi a disposizione dalla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo al fine di trasmettere messaggi, della durata massima di un minuto, diretti a rappresentare alla cittadinanza i propri intenti politici.
RIASSUMIAMO I TRE METODI – Le norme contenute nel provvedimento sono molte e, verosimilmente, saranno ampiamente modificate durante la discussione in Aula. Vediamo, però, i tre canali di finanziamento ai partiti previsti dal ddl:
1) 2X1000 dell’imposta sul reddito Ire che il contribuente potrà destinare, ogni anno, ad un singolo partito o allo Stato che provvederà autonomamente ad attivare un fondo comune al quale attingeranno in base ai voti ottenuti i partiti che hanno il requisito per farlo. L’erogazione sarà anonima e bisognerà accettare che il 2×1000 dato all’erario da un votante, ad esempio, del Pdl finisca, ad esempio, nelle casse del Pd.
2) Erogazioni volontarie con detrazioni dall’imposta lorda del 52% per importi compresi fra i 50 ed i 5.000 euro e del 26% per tutti gli altri fino ad un massimo di 20.000 euro. In questo caso l’erogazione sarà rintracciabile e ben riconoscibile.
3) Servizi gratuiti o scontati per i partiti previsti dal governo (tariffe telefoniche, carta, sale convegni e sede centrali e periferiche).
COSA SUCCEDE ALL’ESTERO? – Quella appena descritta è la situazione italiana. Cosa succede, invece, all’estero? Vediamo cosa succede in quattro Paesi europei a noi vicini: Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna.
– Partiamo dalla Francia. Lì il finanziamento avviene in due tranche: la prima proporzionale ai risultati del partito alle precedenti elezioni politiche e la seconda, invece, proporzionale al numero dei parlamentari iscritti a ciascun politico. Nel complesso, nel 2010, l’ammontare complessivo è stato di 74,8 milioni di euro. Le donazioni private, poi, non possono eccedere la cifra di 7.500 euro annui allo stesso partito.
– In Germania, invece, il finanziamento pubblico ai partiti è fissato ogni anno con un tetto complessivo (154 milioni di euro nel 2013). La ripartizione è tipicamente teutonica: 0,85 euro a partito per ogni voto valido fino ai 4 milioni di voti e 0,70 euro per ogni voto ulteriore. A questi si sommano 0,38 euro per ogni euro ricevuto come donazione da iscritti, eletti o sostenitori con un tetto massimo di 3.300 euro per persona fisica. Infine, ogni partito non può ricevere dallo Stato più di quanto abbia raccolto con i propri mezzi.
– In Gran Bretagna, invece, il finanziamento ai partiti arriva per lo più da donazioni private. C’è poi un contributo pubblico che, nel 2012, è stato di appena 11,3 milioni di euro. Queste somme, però, sono riservate ai partiti di opposizione nel presupposto che ciò vada a compensare i vantaggi che il partito di maggioranza ha dall’avere disponibilità dell’apparato di governo.
– Chiudiamo con la Spagna. Qui il sistema è misto: rimborso elettorale, in base ai seggi ed ai voti conquistati, e con finanziamenti privati. Nel 2011 il totale di quello pubblico è stato di 131 milioni: 86,5 di contributo e 44,5 come rimborso elettorale. Nel 2012 è stato previsto un taglio del 20% dei finanziamenti pubblici. Le donazioni non possono essere superiori ai 100 mila euro annuali.
TUTTI D’ACCORDO, TUTTI CONTRARI – Una cosa è certa. L’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti mette d’accordo tutti. Basta leggere alcune dichiarazioni dei principali esponenti politici dell’emiciclo.
– Ugo Sposetti, storico tesoriere dei Ds ed oggi parlamentare del Pd, ha apostrofato il ddl come “una risposta alla demagogia, al qualunquismo e al populismo. Non affronta i nodi veri della vita politica di un paese avanzato”.
– Dello stesso avviso Fabrizio Cicchitto, tra i leader del Pdl, “da un eccesso di finanziamento pubblico alla sua sostanziale abolizione che a mio avviso avrà solo effetti negativi”.
– Più colorito, ma sulla stessa linea d’onda anche Beppe Grillo: “Il finanziamento pubblico? E’ una presa per il c…”.
DUE DUBBI FINALI – Il tema della riduzione dei privilegi della casta politica è sulla bocca di tutti. Una cosa è certa: tagliare ‘a caso’ non è sicuramente la migliore opzione per migliorare la moralità della nostra politica e l’immagine verso i comuni cittadini. Due, infatti, sono i quesiti che ci restano in mente dopo aver appreso dell’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti:
– Non c’è il rischio che la politica diventi ancor più dipendente dalle lobby, come avviene già nel mondo anglosassone (dove peraltro i finanziamenti pubblici sono ridotti al minimo come visto per l’Inghilterra)?
– Non c’è il rischio che i partiti finiscano per rappresentare solo e soltanto i finanziatori privati e non l’interezza degli aventi diritto al voto?
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Matteo Torti