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Intervista a Marc Ribler, il chitarrista si racconta a Cronaca Torino

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Photo by Rose Montana

Torniamo, dopo un po’ di giri per il mondo, nel New Jersey grazie alla fantastica chitarra di Marc Ribler.

Storico collaboratore di Stevie Van Zandt, ha raccontato a CronacaTorino il suo rock fatto di riflessioni sul mondo moderno e la profonda amicizia che lo lega a un vero e proprio mito della musica. Ecco cosa ci ha raccontato tra presente e futuro:

Ciao Marc, come stai? Raccontaci dei tuoi progetti per questa estate
Attualmente sono in studio per registrare il mio nuovo album con Stevie Van Zandt.
È un insieme di lavori che ho scritto all’inizio del 2021 e che è stato molto ispirato dall’isolamento e dall’incredibile divisione creatasi a seguito dell’ultimo presidente americano.
Non potevo fare a meno di riflettere e scrivere. La pandemia e l’insurrezione, ma anche cose positive. Mostro il profondo apprezzamento per le persone che hanno a cuore ciò che sta accadendo al nostro prezioso pianeta. Poi, ovviamente, resta l’anima del rock.
Ne sono molto entusiasta. È un album molto più spigoloso dell’ultimo e che riflette il tempo in cui viviamo. Attendiamo con impazienza la sua uscita nel 2023.

Adoro la tua canzone Manzanillo. Ci racconti come è nata?
Grazie. Questa è stata l’ultima canzone scritta per il disco “The Whole World Awaits You” del 2021. Stevie mi suggerì di scrivere quello che lui chiama un “qualcosa per pulire il palato”. Mi disse: “Che ne dici di scrivere una canzone dal sapore internazionale?”
Ho sempre amato la musica latina: i ritmi afro cubani, ma anche la sensibilità melodica e armonica. Ho tirato fuori rapidamente chitarra e penna e ho scritto Manzanillo.
Quando stavamo lavorando al mio album eravamo nel cuore della pandemia. La necessità è la madre dell’invenzione e i miei grandi amici musicisti registravano virtualmente le loro parti musicali e me le inviavano. Poi ho completato il tutto io.
La canzone è ispirata da mia madre che purtroppo è morta nel mezzo dell’ultimo tour dei Disciples of Soul nel 2019. Venne da me in sogno e mi disse di dare un’occhiata al mondo. È triste dire che ciò che la storia non ci insegna siamo destinati a ripetere.
Lo stato attuale in America e in molte delle nazioni più ricche del mondo alla luce dell’ingiustizia sociale, della ricchezza, dell’avidità, della violenza armata e della corruzione politica ha una somiglianza inquietante con l’impero romano o l’impero maya. Queste civiltà avevano così tanto potenziale, ma avidità e ricerca del potere le ha annientate. Sono un ottimista e credo che possiamo trascendere questi tempi folli, ma ovviamente ci saranno enormi sfide davanti a noi.

Come funziona il tuo processo creativo?
Come cantautore osservo la vita attraverso le mie esperienze e ciò che affrontano le persone vicine a me.
Osservo nel mondo intorno a me. Ci rifletto ed elaboro scrivendo parole, melodie e musica. Questo per me è la medicina di Dio che mi ha sempre aiutato a dare un senso a questo luogo pazzo che chiamiamo vita.

Tornando a te. Qual è stata la tua introduzione alla musica?
Ho iniziato a suonare la chitarra a 11 anni. Il mio primo ricordo però è a 2 anni e mezzo seduto in soggiorno a guardare i Beatles da Ed Sullivan con i miei genitori.

Cosa ti ha convinto a iniziare a suonare?
Non sono sicuro di aver avuto voce in capitolo. È più la musica ad aver scelto me. Ero da mio cugino a Brooklyn, New York. L’ho sempre ammirato e un giorno trovai a casa sua una chitarra. In mancanza di una spiegazione migliore: lei mi chiamò e mi disse che suonare sarebbe stato quello che avrei fatto nella vita.
Da allora è stata la mia salvezza. Non sai mai dove troverai un Santo Graal.

L’incontro che più ha influenzato la tua carriera musicale?
La mia amicizia e il mio rapporto di lavoro con Stevie Van Zandt. È stato il più arricchente, fruttuoso e gratificante di tutti.

Com’è lavorare con Stevie Van Zandt?
L’ho sempre considerato un onore e un privilegio. Conosco Stevie da quando ero un adolescente che suonava sulla costa del Jersey. Avevamo molti amici in comune, ma non ci siamo mai incontrati fino al 2014 quando fui invitato a suonare la chitarra nel disco di Darlene Love che Stevie stava producendo.
Siamo diventati migliori amici e da quel momento in poi abbiamo lavorato continuamente a numerosi progetti tra cui vari dischi e progetti cinematografici tra cui il film Netflix Classic di Chris Columbus “Cronache di Natale”.
Quando lavori con Stevie il mondo è pieno di bellissime sorprese. Non sai mai cosa capiterà dopo. Credo che sia un genio musicale e un alchimista. Soprattutto però ho la fortuna di chiamarlo amico e famiglia.

Se dovessi scegliere il momento più bello con lui… Quale sarebbe?
Ce ne sono diversi. Uno è quando Paul McCartney si è unito a noi sul palco a Londra nel 2017.
Un altro quando eravamo al Cavern Club di Liverpool per uno spettacolo mattutino tutto esaurito nel 2017. Un incredibile momento importante è quando ha chiesto di co-produrre il mio album all’inizio del 2020. La pandemia era appena iniziata ed è stato un vero toccasana.

Siamo italiani. Hai ricordi speciali legati all’Italia?
Sì! Dico a tutti i miei amici e familiari che l’Italia è il mio paese preferito nel mondo. Le persone sono così amichevoli e gentili. Il cibo, il vino, la storia e la bellissima campagna. Non vedo l’ora di tornare. Si spera nel 2023.

Ultima domanda: un messaggio per i tuoi fan italiani
Questi sono tempi pazzi un po’ ovunque. Voglio incoraggiare tutti i miei fan e amici a essere gentili e premurosi gli uni con gli altri. Abbiamo bisogno di diffondere luce e amore per superare questi tempi molto bui. E ovviamente continuare a suonare e ascoltare il buon vecchio rock!
(A.G.)
Foto: marcribler.com

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