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Il pianeta che voleva essere una stella: la ferrosa atmosfera di KELT-9b

È caldo come una stella ma non è una stella, è un pianeta extrasolare. La sua sigla è KELT-9b e si trova a 650 anni luce da noi, in direzione della costellazione del Cigno. Un nuovo, accurato studio realizzato da un gruppo di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) insieme a colleghi di Università ed Enti di ricerca italiani, olandesi e svizzeri ha permesso di rivelare per la prima volta l’emissione di radiazione da atomi di ferro neutro presenti nell’atmosfera di KELT-9b. I risultati, in corso di pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal Letters sono stati ottenuti grazie alle misure dello spettrografo HARPS-N installato al Telescopio Nazionale Galileo dell’INAF sulle Isole Canarie. Questo studio permetterà di comprendere meglio le relazioni tra gli esopianeti e le loro stelle madri ma anche come i pianeti estremi simili a KELT-9b possano formarsi ed evolvere.
KELT-9b è al momento il pianeta gigante più caldo in orbita sincrona che si conosca nella nostra Galassia, un “gioviano caldo” secondo la classificazione degli astronomi. Il suo lato perennemente illuminato raggiunge una temperatura di oltre 4 mila gradi. Tale temperatura è quella tipica di stelle classificate come “nane di tipo K” o “nane arancioni”, dal colore della luce che emettono. La differenza fondamentale è però nella massa: le stelle hanno una massa abbastanza grande da riuscire a innescare reazioni nucleari nel loro interno, a cui si deve l’origine delle loro alte temperature superficiali; KELT-9b invece è un pianeta centinaia di volte meno massiccio di una stella, e quindi raggiunge un’elevata temperatura atmosferica semplicemente perché viene irradiato da vicino dalla sua stella ospite, una stella bianca di tipo A, la cui temperatura in superficie tocca i 10 mila gradi.
“Il nostro lavoro parte dalla domanda di quali sarebbero le differenze tra l’atmosfera di KELT-9b e quella che avrebbe una stella con la stessa temperatura” spiega Lorenzo Pino, dell’INAF di Firenze e ora in forza all’Università di Amsterdam, nei Paesi Bassi, primo autore dell’articolo che descrive la scoperta. “Per rispondere a questa domanda è necessario analizzare la luce emessa dal pianeta, ma è una cosa molto difficile in generale, perché – dal nostro punto di vista – la luce del pianeta è una piccolissima frazione della luce emessa dalla stella madre. Eppure ci siamo riusciti, osservando il sistema KELT-9 con lo spettrografo ad alta risoluzione HARPS-N, montato al Telescopio Nazionale Galileo”.
Queste osservazioni spettroscopiche di alta precisione consentono di identificare i segnali relativi a diversi elementi chimici nell’atmosfera del pianeta. In particolare, migliaia di minuscole “righe spettrali” possono essere riconosciute e sommate utilizzando una tecnica di “correlazione incrociata”, applicata per la prima volta allo studio di pianeti extrasolari da astronomi olandesi. I ricercatori italiani, olandesi e svizzeri che hanno collaborato alla ricerca, hanno scoperto che il pianeta assorbe parte della luce della stella madre grazie alla presenza di atomi di ferro nella sua atmosfera, proprio come se si trattasse di una stella “nana arancione”. “Diversamente da una stella però, l’atmosfera gassosa del pianeta mostra una ‘inversione termica’, ovvero un aumento della temperatura piuttosto che una diminuzione, salendo sopra una certa altezza” prosegue Pino. “Ciò è dovuto proprio all’assorbimento della luce della stella e al conseguente riscaldamento degli strati atmosferici più esterni”. Qualcosa di simile in pratica succede anche nell’atmosfera della Terra, dove gli atomi di ozono hanno un effetto simile a quelli di ferro in KELT-9b: tale fenomeno determina la formazione della stratosfera terrestre.
“KELT-9 e il suo pianeta costituiscono uno dei sistemi extrasolari sui quali si concentra l’attenzione di molti gruppi di ricerca internazionali ed è motivo d’orgoglio vedere come l’uso della nostra strumentazione sia stato fondamentale per questo lavoro”, commenta Ennio Poretti, Direttore del TNG. “Tali osservazioni sono state effettuate nell’ambito di un programma di lungo termine guidato da Giuseppina Micela dell’INAF di Palermo, al quale partecipano circa 75 ricercatori italiani del consorzio GAPS, Global Architecture of Planetary Systems, molti dei quali sono co-autori dell’articolo”, sottolinea Antonio Maggio, che attualmente guida il Consiglio direttivo del consorzio.
In futuro, combinando questo tipo di osservazioni spettroscopiche da Terra con misure dallo spazio, ad esempio tramite il Telescopio Spaziale Hubble (HST), sarà anche possibile misurare per la prima volta l’abbondanza del ferro nell’atmosfera di un pianeta extrasolare. Questo tipo di misure sono molto comuni nel caso delle stelle, ma assolutamente innovative nel campo degli studi delle atmosfere esoplanetarie, sviluppati soltanto a partire dal 2002. D’altra parte, il ferro è un indicatore fondamentale della “metallicità” delle stelle, un parametro che ne determina la loro storia evolutiva. Lo stesso si potrà fare tra qualche anno con i sistemi planetari, utilizzando nel lungo termine anche il James Webb Space Telescope, successore di HST, e ARIEL – un satellite scientifico europeo che include un’importante partecipazione italiana. Tali studi ci consentiranno quindi di comprendere il problema della formazione dei pianeti extra-solari, a cominciare dai “Gioviani caldi”.
La scoperta è in corso di pubblicazione nell’articolo di Lorenzo Pino et al. Neutral Iron Emission Lines from the Day-side of KELT-9b – The GAPS Programme With HARPS-N at TNG XX sulla rivista The Astrophysical Journal Letters (il preprint è disponibile all’indirizzo https://arxiv.org/abs/2004.11335). Lorenzo Pino, primo firmatario dell’articolo, è un ricercatore dell’INAF – Osservatorio Astrofisico di Arcetri a Firenze, ma attualmente al lavoro presso l’Istituto di Astronomia dell’Università di Amsterdam nel gruppo di ricerca del Prof. Jean-Michel Désert, grazie al progetto ExoAtmos sponsorizzato dallo European Research Council (ERC).
Foto e Notizie: Ufficio Stampa INAF

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