Cultura e Società

ProssimEtà: progetto sociale partito da Mirafiori Nord

Un anno di ProssimEtà: un progetto per creare una rete di solidarietà attiva e informata, per risolvere difficoltà economiche e digitali e abbattere il muro di solitudine che circonda tante persone. Oltre 700 interventi domiciliari e 53 ricerche di soluzioni abitative

Un anno fa prendeva il via ProssimEtà, un progetto per dare delle risposte concrete al disagio sociale ed economico e alla solitudine e che ha visto insieme quattro realtà del terzo settore: Associazione Giobbe (assistenza, prevenzione ed educazione in materia di HIV/AIDS), Articolo 47 (promozione dell’educazione economico-finanziaria) e Equilibrismi (segretariato sociale), con la collaborazione della cooperativa sociale Raggio (ristorazione sociale).

La fotografia della società che ci fornisce l’Istat in questi anni è impietosa: emerge la fragilità e la precarietà del tessuto sociale in cui ci troviamo immersi, crescita della povertà e della solitudine, ma al contempo si sottolinea la necessità di sostenere gli snodi territoriali di prossimità, al fine di rispondere ai bisogni di accoglienza, orientamento e sostegno in particolare delle persone e nuclei fragili. È da questa constatazione che nasce ProssimEtà: «L’idea del progetto – spiega Antonio Cajelli di Articolo 47 – è di affrontare insieme le difficoltà economiche e quelle digitali che oggi incontrano molte persone.

Le prime sono aumentate dopo la pandemia. Ci sono fasce nuove di persone che non riescono ad accedere ai consumi di prima necessità. Si aggiunga l’inflazione e il caro energetico (argomento di grande attualità in questi giorni del ritorno al mercato libero del gas e della luce) che ha eroso molto il potere di acquisto impedendo a gruppi crescenti di popolazione di accedere a una alimentazione dignitosa e salutare. A questo si somma il divario digitale che oggi diventa importante per coloro che devono accedere a servizi e diritti economici di base che passano spesso attraverso l’utilizzo dello Spid o dei portali degli enti pubblici».

Un progetto complesso per il coinvolgimento che voleva generare (e che, in effetti, ha generato):

  1. Miglioramento della percezione di autoefficacia e delle condizioni di vita e di salute, sia sul piano individuale sia sul piano sociale;
  2. Educazione alla cittadinanza e aumento del senso di appartenenza alla rete di prossimità;
  3. Investire sulla persona perché acquisisca abilità e comportamenti utili a prendere decisioni economiche finanziarie sane e sempre coerenti con la propria disponibilità.

«Il progetto è stato rivolto – prosegue Cajelli – a tre categorie di persone: i volontari dei centri di ascolto per meglio strutturarli e prepararli a dare risposte pratiche su aspetti di vita quotidiana (dall’inserimento in dormitori alla riscossione dell’assegno unico, alla gestione delle bollette); le persone coinvolte in questo genere di problematiche (dai senza fissa dimora agli anziani con una pensione insufficiente, ma anche giovani coppie con figli); i soggetti privati e pubblici che possono essere utili per trovare soluzioni ai vari problemi (dai servizi sociali alle case di quartiere). Quindi abbiamo cercato di tracciare una strada per abbattere il muro di isolamento in cui questi soggetti vivono e operavano».

Il progetto in questa prima fase si è concentrato nel quartiere Mirafiori Nord investendo molto su percorsi di lavoro di comunità per costruire attorno all’individuo, inteso non solo come portatore di problematiche, ma di valori e interessi, una rete di riferimento vicina sia emotivamente sia geograficamente. Gli attori principali della rete sono: le parrocchie – Santissimo Nome di Maria e Sant’Ignazio di Loyola di Torino e Spirito Santo del Gerbido di Grugliasco – le circoscrizioni 2 e 4, i servizi sociali della città, la casa del quartiere e i professionisti volontari nell’ambito sanitario, legale e fiscale.

«La risposta è andata oltre le attese – afferma Marco Peretti dell’Associazione Giobbe -. Tutti gli attori coinvolti hanno partecipato con grande convinzione, anche se l’aspetto più interessante è stata la presenza attiva di un buon numero di volontari che sono cresciuti in entusiasmo e competenza. Realtà a cui il progetto ha guardato con molta attenzione con l’intento che questa rete possa consolidarsi e proseguire nel tempo. Un esempio di welfare generativo di comunità». La presenza della rete e dei volontari è fondamentale all’integrazione dei beneficiari nel tessuto sociale in cui vivono e la conseguente riduzione dell’isolamento sociale.

Veniamo ad alcuni dati di questo anno di attività, anche se non rispecchiano a pieno gli ottimi risultati ottenuti:

  • 700 interventi di assistenza domiciliare di vario tipo: dall’accompagnamento a visite (120) a interventi di igiene personale e ambientale (100);
  • 6 riunioni, molto partecipate, ogni due mesi con tutti i protagonisti della rete e con i servizi socio-assistenziali;
  • 100 ritiri e consegne di pacchi alimentari
  • 57 interventi per redigere pratiche burocratiche varie (difficoltà nelle procedure e mancanza di Spid i problemi maggiori)
  • 53 incontri per risolvere le problematiche abitative (ricerca della casa in primis)
  • 240 persone incontrate nei 6 aperitivi formativi, incontri aperti a tutta la popolazione su strumenti di educazione economica e finanziaria: dal districarsi sui portali dello Stato, alla gestione dei debiti sino alla scelta dei fornitori di servizi.

«Oltre gli aspetti assistenziali ed economici – prosegue Peretti -, la difficoltà principale è quella di accedere ai servizi. I beneficiari del nostro progetto sono nuclei molto numerosi o singoli in un’età compresa tra i 40 e 65 anni. Prevale la componente femminile perché sono loro che si occupano di accedere agli aiuti. Mentre tra i senza fissa dimora prevalgono nettamente gli uomini».

Molti gli aneddoti, piccole storie di una quotidianità fatta di solitudini e difficoltà che, a volte, sembrano insormontabili se affrontati senza un piccolo aiuto, se lasciati in balìa delle procedure che in certi frangenti trasformano la pubblica amministrazione, i servizi socio-sanitari o i fornitori di servizi, da alleati e vicini ad avversari che riempiono il percorso di ostacoli: «È il caso di una famiglia – racconta Cajelli – che aveva l’assegno unico bloccato da più di un anno e ci aveva rinunciato perché aveva un problema con lo Spid. Abbiamo sbloccato la pratica in 20 minuti. Non riesco a raccontare la gioia della famiglia per aver ricevuto quasi 1700 € di arretrati».

O ancora: «Un signore si è presentato pensando di avere una montagna di debiti e ci ha confidato di aver dovuto lasciare la casa: dormiva in macchina da più di due mesi. Da un esame attento i debiti non erano importanti come pensava e, soprattutto, erano scaglionabili nel tempo seguendo corretti procedimenti. Dopo aver fatto un piano di pagamenti lo abbiamo aiutato a trovare casa. Intorno a Natale è riuscito a stipulare un contratto agevolato con il Comune di Torino e a prendere casa».

Poi ci sono riconoscimenti che fanno piacere e riflettere come «Quello di un gruppo di assistenti sociali – conclude Antonio Cajelli – che al termine di un incontro formativo si avvicinano e mi dicono di aver imparato tantissime cose nuove che avrebbero sicuramente dovuto conoscere, ma che in nessun corso da loro fatto gli era stato detto».

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