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Inaugurazione al MIIT con “Fernando Delìa.Artistico guazzabuglio”

Il Museo MIIT di Torino presenta la mostra antologica ‘Fernando Delìa. Artistico guazzabuglio’ da sabato 25 maggio a domenica 2 giugno 2024 (inaugurazione sabato 25 maggio dalle ore 18.00). In mostra una cinquantina di opere tra sculture in terracotta, bronzo, altorilievi, pannelli.

Fernando Delìa era, per tutti, a Torino e non solo, ‘l’avvocato scultore’ e il ricordo del Museo MIIT e di Italia Arte, unitamente alla Famiglia dell’artista e alla Fondazione Faro, a cui è dedicata la raccolta fondi organizzata in occasione della mostra, intende omaggiarne la figura di uomo e di creatore di sogni o, se vogliamo, di quegli ‘artistici guazzabugli’, come recita il titolo dell’esposizione, che lui amava comporre, dapprima nella sua immaginazione e poi plasmando e modellando la creta con fare rapido e istintivo, come se si corresse il rischio che quei personaggi e quelle forme immaginate svanissero all’improvviso. Proprio la genesi dell’opera, il suo essere concepita, pensata e poi realizzata descrive al meglio l’opera del maestro e la sua meditata attenzione al messaggio artistico. Procedimento, questo, che si sviluppa in seguito in un fare immediato, istintivo, gestuale nel modellare la materia e nel plasmare forme, volumi, idee.

La tecnica dell’artista

L’arte di Fernando Delìa è un’arte quotidiana e intimista, fortemente caratterizzata da uno sguardo interiore e profondo sull’Uomo, sulla sua storia, sul suo destino. I personaggi immortalati da Delìa possono essere i nostri vicini di casa, o chi la casa non ce l’ha più, come ‘Gli sfrattati’, tristemente in cammino sulla scala di un’esistenza tra alti e bassi, lo sconosciuto osservato nel parco, seduto su una panchina a meditare sulla sua vita, il collega di lavoro frustrato e sommerso da scartoffie, il perenne insoddisfatto, l’annoiato… Delìa osserva il mondo, le persone che incontra sul suo percorso, ne scandaglia pregi, difetti, caratteri, ne coglie l’essenza e le trasforma in maschere universali. La sua commedia dell’arte contemporanea è lo specchio di una società spesso confusa e disorientata, mascherata ed ipocrita, ma l’artista coglie, nelle espressioni, nelle pose e nei gesti, la verità del momento, l’anima dell’Essere.

La sua tecnica volutamente del ‘non finito’, dell’abbozzato, sembra volerci dire che tutto è effimero e passeggero, che la vita muta all’improvviso e senza guardare in faccia nessuno, in uno scorrere degli anni affannato e vorticoso. Il tempo, nell’opera di Delìa assume quindi una valenza concettuale profonda. La realtà diventa istante vissuto, ma anche immagine dello spirito, di un moto interiore subitaneo, che passa rapidamente, per poi lasciare spazio ad altri affanni… o ad altre gioie.

Sarebbe errato, infatti, pensare che l’arte di Delìa sia solamente malinconica, solitaria, a volte abitata da incubi, come alcune sculture sicuramente ci inducono a pensare. ‘Verso il baratro’, ‘Davanti un’intera giornata da affrontare’, ‘Deposizione’, ‘L’eterna attesa’ ci raccontano appunto lo stato d’animo universale e condiviso di una società sospesa e ineluttabilmente condannata, ma non mancano, nelle sue creazioni, sfumature ironiche, divertite e divertenti, argute e sarcastiche, quasi una sorta di vignette satiriche da gustare insieme agli amici, riconoscendo in un personaggio o in un altro qualche amico o conoscente.

La terracotta modellata da Delìa, come pure i bellissimi bronzi a cera persa, fanno rinascere ogni volta l’Uomo, plasmato da un Dio benevolo e, come noi, di carne e spirito, consapevole di tutti i difetti e di tutta la piccolezza della nostra specie, anche capace, però, di atti eroici e sacrali, quotidiani o immortali.

Basti pensare alle opere celebrative di Delìa, come i busti dedicati a Bruno Caccia e a Fulvio Croce, posizionati nell’atrio d’ingresso e nell’Aula Magna del Palazzo di Giustizia di Torino, o quello che ricorda il Papa emerito Benedetto XVI in Vaticano, presso la Casina Pio IV. A volte, poi, si accende la scintilla divina che riaccende la speranza in un futuro migliore come in ‘L’importante è non arrendersi’, ‘Sogni di adolescente’ o nei ritratti affettuosi e palpitanti dei nipotini, mentre in altri lavori non manca mai il sorriso dolce-amaro dell’artista, quasi una firma che sancisce il destino di ognuno.

Fernando Delìa deve quindi annoverarsi nella schiera ristretta degli autentici maestri del contemporaneo, perché tali sono i suoi sogni, le sue visioni, il suo sguardo disincantato e amichevole sul mondo e sulla realtà.

Fernando Delìa: genesi di una passione

Trovo difficile spiegare come sia nato in me il desiderio di modellare e per quale motivo. È una necessità che ho sempre sentito e che non riesco a definire razionalmente. Posso cercare di spiegarlo guardando quello che più spesso è l’oggetto delle mie opere, cioè la figura umana, di preferenza il volto e le mani, nella quale però non è il bello che mi attira ,a la caratterizzazione forse la deformazione (mai la deformità). Se questo è il mio motivo ricorrente posso ipotizzare che la mia, tra virgolette, “ricerca” sia quella di rappresentare, attraverso la esasperazione dei lineamenti, il modo di essere, il vissuto, l’originalità di ciascuno di noi. Non penso che nella rappresentazione dei miei personaggi ci sia la cattiveria necessaria perché li si possa definire grotteschi.”

“Forse c’è la semplice ironia, il divertimento triste di ridere di noi stessi. E ai miei personaggi mi affeziono, forse perché in fondo non faccio altro che rappresentarmi. Mi dicono che, secondo la psicoanalisi, sognare la casa significhi rappresentare la propria interiorità. Penso che la sensazione che provo quando riesco a chiudermi nel mio luogo dove mi fermo a modellare: il mio studio, sia la stessa.”

“È il luogo dove (al contrario di Machiavelli che prima di prendere la penna in mano, si paludava da antico romano), riesco a spogliarmi di tutti i personaggi, le convenzioni, le difese dietro i quali mi nascondo nella vita quotidiana. È come se quello spazio costituisse un’immaginaria prosecuzione della mia persona. Uno spazio che, oltre che delle mie opere, ho riempito di vecchi ricordi e oggetti di affezione. Confesso che, forse per questo, aprire il mio studio ad estranei un poco mi spaventa come farmi sorprendere scoperto nella mia intimità”.

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