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Reato di Minaccia, come si integra l’espressione “Te la farò pagare”

negozioCuriosa è la sentenza di un Giudice di Pace di Ferentino per il quale, ogni minaccia, deve essere valutata sempre in base alle condizioni dell’agente e dell’effetto che la frase ha sulla vittima.
TALE ESPRESSIONE INTEGRA REATO?
Analizzando l’espressione “ve la farò pagare”, vediamo come questa non sia idonea ad integrare il reato di minaccia in quanto può essere un mero rimando a delle azioni giudiziarie future, infatti, la minaccia deve sempre essere valutata in base alle condizioni dell’agente e l’effetto che questo ha nella persona a cui è rivolta.
Negli ultimi anni la giurisprudenza ha dato segno di un orientamento alquanto labile, alcune pronunce ravvisavano l’integrazione del reato, altre sentenze invece non ravvisavano la minaccia.
Il 1 luglio 2020, il Giudice di Pace di Ferentino ha disposto l’assoluzione dell’imputato (un lavoratore accusato di minaccia ai sensi dell’articolo 612 c.p. nei confronti del datore di lavoro), tali frasi sono state pronunciate a seguito della consegna di una lettera di licenziamento, successivamente al licenziamento si erano seguite varie azioni giudiziarie portate avanti proprio dall’imputato ma il comportamento tenuto da quest’ultimo ha spinto il datore di lavoro a sporgere formale querela nei suoi confronti.
OBBLIGO DI VALUTAZIONE DELLA SINGOLA MINACCIA
A parere del giudice onorario, le frasi riportate all’interno della querela sporta dal datore di lavoro non integrano il reato di minaccia ex articolo 612 c.p. in quanto esso è un tipo di reato che ha una natura di pericolo poiché rappresenta l’inizio di successivi atti lesivi concreti.
Nella sentenza si evince altresì che ogni minaccia deve essere valutata in modo adeguato in base anche alle circostanze ed alle condizioni in cui essa viene effettuata, il principale effetto costitutivo del reato è proprio “la prospettazione di un ingiusto danno tale da limitare la libertà morale della vittima e il cui futuro verificarsi dipende, in maniera diretta o commissionata dall’agente”, con la conseguenza che “non rientrano nella categoria le semplici imprecazioni o gli insulti”.
Tale pronuncia richiama altresì una pronuncia della Corte di Cassazione (la sentenza nr. 25080/2016) la quale chiarisce come, per poter integrare il reato di minaccia, è necessario valutare questa con riferimento al concreto contesto di riferimento.
Anche per quel che concerne la giurisprudenza di legittimità, non vi è la possibilità di poter punire chi pronuncia delle parole che non si intrinsecano con il principio costituzionale di lesività, sempre la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza nr. 44381/2017, sostiene che la frase “ve la farò pagare” non possa configurare la minaccia poiché, essendo noti i contrasti passati tra la persona offesa e l’imputato, non vi è la possibilità di escludere che l’espressione fosse il riferimento di future azioni giudiziarie.
Nel caso in esame il Giudice di Pace sostiene che le frasi riportate nella querela potessero riferisci sicuramente all’esercizio di future azioni giudiziarie, difatti, dalla documentazione in atti è emerso come l’imputato avesse già attuato svariate vertenze con la parte civile, l’ex datore di lavoro, a seguito del licenziamento.
Pertanto, essendo un’espressione generica quale esplicazione di un diritto, non è possibile ravvisarla quale implicazione di un danno ingiusto, con la conseguenza che il reato di minaccia non sussiste.
Dott.ssa Debora Moda
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