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La storia d’Italia dal dopoguerra a oggi riletta da Caino e Abele

La storia d’Italia dal dopoguerra ai giorni nostri vista attraverso gli occhi di due fratelli che hanno misteriosamente incrociato gli eventi più sanguinosi della storia italiana: le stragi, i golpe, il terrorismo, le lobbY, le mafie, i servizi segreti. E’ uno spettacolo particolarissimo quello proposto sabato 13 aprile alle 21 sul palco dello Spazio Kairos, via Mottalciata 7, per la stagione “Riflessi” organizzata da Onda Larsen: si tratta di “Patria. Il paese di Caino e Abele”, di e con Fabio Banfo, coproduzione Centro teatrale MaMiMò (RE) e Eco di Fondo (MI) per la regia di Giacomo Ferraù.

Il pubblico in sala potrà fare un viaggio in quelle verità sulle stragi che sono state dimenticate, occultate, cancellate nella storia recente del nostro paese e che hanno ancora un profondo seppur spesso invisibile riflesso sul tempo in cui viviamo. Il testo intreccia tutte quelle vicende che hanno contribuito a fare dell’Italia dei nostri nonni, il paese che lasceremo ai nostri figli.

E’ un racconto, quello dell’Italia, inevitabilmente tragicomico, dove le memorie degli eroi e quelle dei malvagi, si mescolano indissolubilmente come le storie dei nostri due fratelli. Una biografia famigliare che finisce per diventare la biografia di una nazione.

La storia

I fatti vengono rivisti attraverso gli occhi di un personaggio bianco, un idiota Dostoevskiano che tutti considerano lo scemo del villaggio. Lui, da quando ha battuto la testa da piccolo forse per colpa del fratello, viene chiamato Abele; cerca spasmodicamente tracce del fratello Caino scomparso in un attentato ferroviario (la strage dell’Italicus).

La vita di questo microcosmo, di questo piccolo paese che si chiama Patria e che rappresenta nelle sue dinamiche l’intera Italia, scorre inesorabilmente verso una fine lenta e pietosa, indifferente ai suoi figli che vanno e vengono, nascono sempre meno e muoiono sempre di più.

Fabio Banfo, nello spettacolo, interpreta 15 personaggi differenti, dando voce agli abitanti del Paese che diventano metafora dei costumi e delle ideologie dell’Italia degli anni ’70 e ’80 che hanno segnato il nostro presente.

Note di regia

BUM.
Abele: Ci sono esplosioni che durano poco. Altre che durano una vita intera. Dicono che L’intero Universo è nato da un’esplosione. Ma era sicuramente più forte della mia. La mia era un’esplosione da niente. È durata il tempo di ricordarmi tutto.

Di ricordarmi com’era non essere scemo. E della vita che è passata tra l’esplosione dell’inizio e quella della fine. E tutte le esplosioni che ci sono state in mezzo come i tuoni, gli aerei che superavano la barriera del suono, e le bombe che sventravano cose e le persone creando vuoti immensi come le galassie e i buchi neri che vi stanno al centro. Dalla goccia di seme che ha acceso la mia luce, alla scintilla che la spegnerà.

La storia della mia vita. La storia del mio paese. Stanno tutte dentro un bum, come chiuse in una bolla di sapone. Non era una gran vita, non era un gran paese. Ma era la mia, la nostra Patria. E adesso non c’è più. Adesso non ci siamo proprio più…

Patria è la storia italiana degli anni di piombo anni vista attraverso gli occhi di un personaggio bianco, un idiota Dostoevskiano che tutti considerano lo scemo del villaggio. Lui, da quando ha battuto la testa da piccolo forse per colpa del fratello, viene chiamato Abele; cerca spasmodicamente tracce del fratello Caino scomparso in un attentato ferroviario (la strage dell’Italicus).

Forse il fratello però non è morto, sopravvissuto e misteriosamente non dà notizie di sé. Forse è addirittura un terrorista. Forse un mafioso. Forse è implicato talmente a fondo nelle efferate vicende raccontate da dover scomparire per forza. O forse è semplicemente morto come tanti in una dei mille misteri rimasti senza risposta di quegli anni incredibili.

La vita di questo piccolo microcosmo, di questo piccolo paese che si chiama Patria e che rappresenta nelle sue dinamiche l’intera Italia, scorre inesorabilmente verso una fine lenta e pietosa, indifferente ad i suoi figli che vanno vengono, nascono sempre meno e muoiono sempre di più. Come dice il testo, una vita che può essere contenuta all’interno di una sola esplosione, di una bolla. Così lavora la scenografia nella realizzazione di un unico spazio stretto a un gusto come un paese che vuole assolvere sé stesso la funzione di un’intera Nazione.

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