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Intervista a Louis Nero, il regista torinese si racconta a CronacaTorino

Il cinema come esperienza di vita, ma non solo. Può essere questa la descrizione del pensiero del regista torinese Louis Nero.
Louis Nero ha debuttato nel 2003 con “Golem” e la sua carriera è continuata con pellicole innovative e controverse. Dal geniale “Pianosequenza” del 2005 ai più recenti “Il Mistero di Dante” del 2013 e “The Broken Key” del 2017 ha sempre fatto parlare di lui con un pubblico che si è diviso tra chi lo ama alla follia e chi invece proprio non sopporta.
Louis prosegue la sua strada vantando collaborazioni con attori del calibro di Franco Nero, F. Murray Abraham, Rutger Hauer, Christopher Lambert e Geraldine Chaplin.
Abbiamo fatto con lui una bella chiacchierata ed ecco cosa ci ha raccontato:
Ciao Louis e grazie per questa intervista.Comincio chiedendoti a che progetti stai lavorando.
Stiamo lavorando su più progetti. Per quanto riguarda il cinema sto preparando un film sulla vita di Fellini che è un qualcosa su cui sto lavorando da anni e speriamo che veramente sia la volta buona.
Sto inoltre preparando due serie per la TV americana, ma qui è giusto precisare che sono però progetti ancora in fase di scrittura e pre-produzione.
Avevo letto che stavi lavorando anche ad un progetto in India.
Sì, ma ho dato precedenza ai due progetti americani perché lavorare in India è molto complesso e completamente diverso da come uno lavora qui da noi.
Parlando del tuo ultimo film, The Broken Key, ci sono molti che lo definiscono bellissimo e altri che invece lo bocciano completamente…
Sono ormai abituato a questo, in tutta la mia carriera c’è sempre stato un pubblico che mi ha sempre amato ad oltranza e poi ci sono quelli che non mi hanno capito. Faccio sempre l’esempio di quando ero a Venezia con “Pianosequenza” quando esce questo discorso. Non sai quante botte che ho preso… (ride)
Me ne dissero di tutti i colori, ma se oggi uno guarda tutte le Accademie di Cinema e i Dams… Beh “Pianosequenza” fa parte del programma. Mi ricordo ancora di un critico che mi disse “Ma lei non si vergogna a fare un pianosequenza?”
La storia poi è stata diversa, ma è un qualcosa a cui ci si fa l’abitudine. Non sempre, infatti, cose un minimo più innovative vengono prese e capite.
In realtà poi, come avrai avuto modo di vedere anche con The Broken Key, sono pochi i film italiani che sono usciti in così tante nazioni e si contano sulle dita di una mano quelli che escono in America. Chiaramente non si fanno grandi incassi perché è pur sempre un cinema di qualità, ma resta la soddisfazione di una diffusione di questo tipo.
Parlando sempre di The Broken Key, uno degli attori con cui hai lavorato è Rutger Hauer. Che ricordo hai di lui?
Rutger era un personaggio estremamente particolare, ed è importante precisare che non è stato solo un attore, ma anche un autore della sua figura. Nel periodo trascorso con lui ricordo che abbiamo parlato a lungo di Blade Runner e della guerra che ebbe per l’ultima scena con Ridley Scott.
Lui, come ti dicevo prima, era molto autore di quello che doveva fare, quindi ovviamente essendo io lo scrittore del film c’era una sorta di amore e odio tra noi due.
Lui ha letto la sceneggiatura, l’ha letta tre volte e ci siamo anche incontrati perché gli piaceva davvero molto. Voleva però sempre cambiare, una cosa che è normale che avvenga nel cinema, ma in una piccola produzione è difficilissimo.Lo scontro tra autori può sempre capitare, ma mi sarebbe piaciuto avere più tempo per confrontarmi con lui..
Poi come attore era una bomba nucleare! Uno, due, tre e lui perfetto!
Nei miei film preferiti annovero sempre Blade Runner e Highlander. Avere la fortuna di trovarsi davanti tutti quegli attori per un proprio film è stato davvero emozionante. Oltre a Rutger c’era anche Christopher Lambert che, per me, è qualcosa di simile ad una divinità..
Parlando invece di attore italiano, con te ha lavorato molto Franco Nero
Vero, con Franco abbiamo fatto 3-4 film. Ci siamo conosciuti grazie a Silvano Agosti che è un amico in comune. Lui poi è un personaggio davvero malleabile che entra facilmente nella mia visione di cinema che non è molto italiana, ma con un respiro più internazionale.
Tutti e due amate molto Torino
Sì è vero, anche se non ha girato molto qui a Torino in realtà, ma ama davvero questà città…
Pensa che l’avrò fatto venire qui una ventina di volte…
Tornando invece a parlare di te, quando hai capito che volevi fare questo tipo di mestiere?
Più che fare il mestiere del regista a me è sempre piaciuto vedere film. Ancora oggi ne vedo tre al giorno! Dal vedere film c’è stato poi un percorso, sono stato infatti per tanti anni direttore artistico di discoteche. Da lì è stato poi naturale passare al campo dell’immagine, poi ho fatto il DAMS e di conseguenza…
C’è un attore con cui ti piacerebbe lavorare?
Uno… C’è un elenco! (ride) Beh sarebbe davvero bello confrontarsi con uno come Edward Norton.
Da qualche anno il Cinema ha sviluppato la tendenza di creare remake di film spesso relativamente recenti. Secondo te, il remake è un andare sul sicuro prendendo una storia già consolidata o un segnale che ci sono poche idee?
Sicuramente dipende come viene fatto il remake. Un esempio che viene subito alla mente è “Total Recall” Quello fatto con Colin Farrell rispetto a quello con Arnold Schwarzenegger ha mostrato dei passi avanti interessanti, ma non parliamo solamente di un discorso di datazione. Se lo si guarda è un film decisamente molto più maturo, con una tecnica molto più interessante e anche il messaggio di fondo è certamente più significativo.
Tante volte è vero che il remake può essere una sicurezza, questo chiaramente se il film su cui lavori ha avuto successo. Però anche nel remake, se c’è un autore valido dietro, si può fare qualcosa facendolo diventare un’altra cosa rispetto al film originale. Non sono quindi contrario a priori al Remake, ma chiaramente dipende come viene fatto.
Ovviamente non parliamo di fare il remake di “Natale in India”, ma di un film che abbia un senso…
Parlando di dimensione Italia, come sta il cinema italiano?
Il cinema italiano è morto da una vita. Questa morte è nel DNA del cinema italiano che da dopo gli anni 70 ha smesso di osare. Un peccato perché la serialità aveva dato una chance di rigenerarsi al cinema sotto altre forme.
Purtroppo però anche le serie tv hanno fatto gli stessi errori del cinema puntando ad un pubblico fatto sostanzialmente di casalinghe che accendono la TV come fosse l’aspirapolvere.
A questo va aggiunto poi che qui in Italia ci sono degli uffici stampa che sono veramente bravi a far promozione sul mercato interno. Sono gli stessi che ci raccontano che i nostri progetti sono belli e apprezzati in tutto il mondo, ma se viaggi un po’ scopri che la realtà non è esattamente quella.
Come italiani abbiamo il difetto di fare un buon prodotto solo per il nostro mercato e ciò ha portato a una poca visione del mercato internazionale senza cui oggi non vai avanti. Anche quando c’è una co-produzione facciamo gli stessi errori e c’è questo puntare al target sbagliato.
La cosa è veramente curiosa perché sono le televisioni per prime a sbagliare su cosa puntare e nemmeno se ne accorgono.
Lo stimolo di creare cose nuove dovrebbe esserci anche per formare una nuova generazione, ma di novità tra TV e cinema italiano ne vedo pochissima. Forse Sorrentino con Young Pope e New Pope, ma se guardiamo già a Garrone vediamo che con Pinocchio ha fatto un salto indietro pazzesco.
Il problema del cinema italiano è proprio la paura di osare e l’essere troppo autoreferenziali sul territorio. Ovviamente si può partire dal territorio, ma bisogna essere capaci di dare un respiro internazionale altrimenti si muore definitivamente. .
Questa poca voglia di osare è stranissima se si ripercorre la storia del cinema italiano di prima degli anni 70…
Solo per quello noi siamo famosi nel mondo, ma non c’è nemmeno bisogno di dirlo. Il cinema contemporaneo nel mondo non viene distribuito e dunque non è conosciuto.
Rimaniamo nella dimensione di quei 4-5 film che vincono Cannes, quindi parliamo di gente come Sorrentino, Garrone e Tornatore. Poi gli altri dove escono? In Francia, in Inghilterra e forse in Germania… Questo è un po’ una tristezza perché abbiamo i tecnici più bravi del mondo, abbiamo una grande storia da raccontare, ma secondo me manca un po’ la figura dirigenziale in grado di instradare su una via corretta.
Tornando a te, un desiderio per il prossimo futuro?
Come ti dicevo prima secondo me la serialità ha un senso per un autore perché permette di poter creare un mondo a parte che non deve nemmeno essere troppo vincolato al mercato. Secondo me questo è il futuro che può beccare un nuovo pubblico e raccogliere più fasce di esso.
Il cinema va bene per determinate produzioni o per eventi. Parliamo di una struttura anche datata, e se ci si pensa: nel mondo di oggi, con tanti servizi di streaming, dove lo trovi il tempo di uscire? Io sinceramente preferisco una serie HBO su Netlfix all’ennesimo film italiano che esce al cinema.
Tornando al discorso che facevamo prima… Non so però davvero dove nasca questa cosa di non osare… Le opere prime in Italia sono già scontate e concentrate su un microcosmo sociale che non ha futuro. Pensiamo a Fellini e a quando si è presentato con “La Strada”, ha messo davvero dentro tutto il suo bagaglio e ha osato portando qualcosa di talmente innovativo da rimanere nella storia. Oggi quello che accade è sotto gli occhi di tutti… Io debuttai con “Golem” che era una espressione di quello che ero io, della mia arte e del mio bagaglio. Oggi debuttare non è più una questione di arte, ma dell’essere inserito nel giusto mercato ed è quello che secondo me ha ammazzato il cinema e gli autori. E poi son tutti uguali…
Dei film premiati agli Oscar… Quale ti è piaciuto?
Allora, il film di Quentin Tarantino non mi è piaciuto… Non ho visto Parasaite, ma ho visto Jojo Rabbit che è un film molto intelligente. Si tratta di un lavoro sicuramente molto particolare e da approfondire perché magari a un primo impatto può risultare un po’ disturbante, però secondo me è davvero interessante da vedere.
“Once Upon a Time” l’ho visto a Cannes e poi un’altra volta, ma continua a non piacermi perché comunque Tarantino mi piace fino ad un certo punto. Da un punto visivo è bellissimo, ma nelle storie a un certo punto sbrocca cadendo nello splatter.
Questo splatter gli fa secondo me perdere molta identità. Lui però è così, deve avere questo sfogo splatter….
Ultima domanda: il tuo messaggio ai fans
Tendenzialmente considero il cinema come una esperienza… Se uno esce dalla sala in modo neutro, come avviene per la maggior parte del cinema italiano e non, è una esperienza persa. Il cinema ti permette di sognare come gli antichi miti e di farsi trasportare, ma se ci sono barriere è un problema. Ricordiamoci che il ruolo del cinema non è fare soldi al botteghino, ma ispirare le persone. (Alessandro Gazzera)

PER INFO – Per ulteriori informazioni sui film del regista torinese è consultabile il sito https://www.altrofilm.it/

Si ringrazia Louis Nero per la simpatia e disponibilità.

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